Da Il cristianesimo così com’è di C.S. Lewis
In questo capitolo devo parlare di ciò che i cristiani chiamano fede. Grosso modo, questa parola è usata dai cristiani in due sensi o a due livelli.
Vediamoli per ordine.
Nel primo senso, essa significa semplicemente “credere”: accettare, ritenere vere le dottrine del cristianesimo.
Questo è abbastanza semplice. Ma ciò che suscita perplessità – almeno, la suscitava in me – è che la fede, in questo senso, sia per i cristiani una virtù. Come può essere una virtù, mi chiedevo: cosa c’è di morale o immorale nel credere o non credere a una serie di affermazioni? Ovviamente, dicevo, un uomo assennato accetta o rifiuta qualsiasi affermazione non perché voglia o non voglia, ma perché gli sembra fondata o infondata. Se si sbaglia nel giudicare della sua fondatezza, ciò non significa che egli sia cattivo, ma solo che è poco perspicace. E se ritiene l’affermazione infondata, ma cerca tuttavia di costringersi a crederla, agisce stupidamente e basta.
Ebbene, io la penso ancora così. Ma ciò che allora non capivo – e tanti continuano a non capire – è questo.
Io partivo dal presupposto che la mente umana, quando ha accettato una cosa come vera, continuerà automaticamente a ritenerla tale finché non si presenti una ragione seria di riconsiderarla. Di fatto, partivo dal presupposto che la mente umana sia completamente governata dalla ragione. Ma non è così. Per esempio: la mia ragione è convintissima, fondatamente, che l’anestesia non mi soffocherà, e che un chirurgo esperto comincerà a operare solo quando avrò perso conoscenza. Ma ciò non toglie che quando mi stendono sul tavolo operatorio e mi applicano sulla faccia quella orribile maschera, in me si scatena un panico assolutamente infantile. Penso che morirò asfissiato, e ho paura che comincino a tagliarmi mentre sono ancora sveglio. In altre parole, perdo la mia fede nell’anestesia. Non è la ragione a distruggere la mia fede: al contrario, la mia fede si basa sulla ragione. E’ l’immaginazione, sono le emozioni.
La battaglia è tra fede e ragione da un lato, ed emozioni e immaginazione dall’altro.
Se ci riflettete troverete una quantità di esempi del genere. Un uomo sa per certo che una graziosa ragazza di sua conoscenza è bugiarda e incapace di mantenere un segreto, e che non c’è da fidarsene; ma quando si trova con lei la sua mente cessa di aver fede in quella certezza, ed egli comincia a pensare: “Forse stavolta si comporterà diversamente”; per cui ci ricasca, e racconta alla ragazza qualcosa che non avrebbe dovuto raccontarle. I sensi e le emozioni hanno distrutto in lui la fede nella verità che gli è nota con certezza.
Oppure, prendiamo un ragazzo che impara a nuotare. La sua ragione sa perfettamente che un corpo umano privo di sostegno non affonda necessariamente nell’acqua: ha visto decine di persone stare a galla e nuotare. Ma la questione è se sarà capace di continuare a crederlo quando l’istruttore ritirerà la mano e lo lascerà senza sostegno nell’acqua – o se a un tratto cesserà di crederci e avrà paura, andando a fondo.
La stessa cosa avviene con il cristianesimo. Io non chiedo a nessuno di accettare il cristianesimo, se i suoi migliori ragionamenti gli dicono che il peso delle prove è contro di esso. Non è a questo punto che interviene la fede. Ma supponiamo che un uomo concluda, a lume di ragione, che le prove sono favorevoli al cristianesimo: ebbene, posso dire a costui che cosa gli accadrà nelle prossime settimane. Verrà un momento in cui, avendo ricevuto cattive notizie, o perché si trova nei guai, o perché vive in mezzo a gente che non crede, le sue emozioni insorgeranno, andando all’assalto della sua fede. Oppure gli capiterà di desiderare una donna, o di voler dire una bugia, o di sentirsi molto soddisfatto di sé, o di intravedere la possibilità di fare un po’ di soldi in modo non del tutto corretto; insomma, ci saranno dei momenti in cui gli farebbe molto comodo che il cristianesimo non fosse vero. E di nuovo desideri e voglie andranno all’assalto. Non parlo di circostanze in cui si affacciano nuove e serie ragioni contrarie al cristianesimo: queste vanno affrontate, ed è un’altra questione. Parlo di momenti in cui la contrarietà nasce da umori e stati d’animo.
Ebbene, la fede, nel senso in cui uso qui questa parola, è l’arte di tener salde, nonostante i cambiamenti d’umore, le cose che la nostra ragione ha accettato. Gli umori, infatti, cambiano, quale che sia l’opinione accolta dalla ragione. Lo so per esperienza.
Ora che sono cristiano, vivo stati d’animo in cui tutta la faccenda appare molto improbabile: ma quando ero ateo mi accadeva a volte di trovare il cristianesimo tremendamente probabile. La ribellione degli umori contro il nostro vero io avviene comunque. Ecco perché la fede è una virtù tanto necessaria: se non si insegna ai propri umori a “stare al loro posto”, non si può essere buoni cristiani e neppure buoni atei, ma solo creature oscillanti di qua e di là, con convinzioni che dipendono in sostanza dal tempo bello o brutto e dalla buona o cattiva digestione. Di conseguenza, occorre esercitare l’abitudine della fede.
Il primo passo è riconoscere che i nostri umori cambiano. Il passo successivo è aver cura, una volta accettato il cristianesimo, che alcune delle sue principali dottrine siano presenti alla mente per qualche tempo ogni giorno. Per questo le preghiere quotidiane, le letture religiose e l’andare in chiesa sono elementi indispensabili della vita cristiana. E’ necessario che ciò in cui crediamo ci sia rammentato di continuo. Nessuna credenza sussiste in modo automatico nella mente: bisogna alimentarla. E di fatto, su cento individui che hanno perso la fede nel cristianesimo, mi chiedo quanti l’abbiano abbandonata per seri e ponderati motivi. I più non se ne sono allontanati per inerzia, per semplice noncuranza?