Da “Cercate le cose di lassù“, Paoline 1986
Amore, Avvento e Speranza…
In uno dei suoi racconti di Natale, lo scrittore inglese Charles Dickens narra la storia di un uomo che aveva perduto la memoria del cuore. Gli era cioè stata tolta l’intera successione di sentimenti e di pensieri prodotta in lui dall’esperienza della sofferenza umana. Lo spegnersi del ricordo dell’amore gli era stato offerto come liberazione dal peso del passato, ma ben presto si era visto che quell’uomo era cambiato totalmente: l’incontro con la sofferenza non suscitava più in lui nessun ricordo della bontà. Venendo meno la memoria, era scomparsa in quest’uomo anche la fonte della bontà. Era diventato freddo ed emanava un senso di gelo attorno a sé.
Lo stesso pensiero espresso da Dickens è presente anche nella rievocazione fatta da Goethe della prima celebrazione della festa di San Rocco a Bingen, finalmente ripristinata dopo la lunga interruzione delle guerre napoleoniche. Il poeta osserva la folla che sfila compatta attraverso la chiesa, davanti all’immagine del santo, e ne studia i volti: quelli dei bambini e degli adulti sono raggianti e riflettono la gioia del giorno di festa. “Ma per i giovani era diverso” racconta Goethe; “procedevano insensibili, indifferenti, annoiati”. La motivazione che ne dà è significativa: in tempi cattivi, questi giovani non avevano niente di buono da ricordare, e quindi niente neppure da sperare. Ciò significa che solo chi può ricordare, può anche sperare. Chi non ha mai sperimentato il bene e la bontà non può ricordarli.
Un pastore d’anime, che frequentava persone sull’orlo della disperazione, raccontava la stessa cosa a proposito della propria attività: se si riesce a suscitare in una persona disperata il ricordo di un’esperienza del bene, questa può nuovamente credere nel bene, può tornare a sperare, e si schiude per lei una via d’uscita dalla disperazione. Ricordo e speranza sono legati indissolubilmente. Chi annulla il passato non crea speranza, anzi ne distrugge le basi spirituali.
Talvolta il racconto di Charles Dickens mi appare come un’immagine delle esperienze presenti. L’uomo a cui lo spirito ingannevole di una falsa liberazione ha sottratto la memoria del cuore … non vive forse in una generazione alla quale una certa pedagogia della liberazione ha annullato il passato e reso quindi impossibile la speranza? Quando leggiamo con quanto pessimismo una parte della nostra gioventù guarda al futuro… ci domandiamo da che cosa può dipendere. Immersa nel superfluo delle cose materiali, non le manca forse il ricordo della bontà umana, che induce a sperare? Con il disprezzo dei sentimenti, con lo scherno della gioia, non abbiamo calpestato anche la radice della speranza?
Con queste considerazioni ci soffermiamo sull’importanza dell’Avvento cristiano.
Avvento infatti significa proprio intreccio di ricordo e speranza, tanto necessario all’essere umano. Esso vuole risvegliare in noi il vero e più intimo ricordo del cuore, il ricordo del Dio che si è fatto bambino. Questo ricordo è salvezza, questo ricordo è speranza.
Lo scopo dell’anno liturgico è proprio quello di farci ripercorrere le grandi storie dei ricordi, per risvegliare la memoria del cuore e imparare a scoprire la stella della speranza. Tutte le feste dell’anno liturgico sono eventi della speranza. I grandi ricordi dell’umanità, che l’anno della fede custodisce e rivela, devono nella struttura dei tempi sacri, divenire ricordi personali della propria storia di vita attraverso la liturgia e le tradizioni.
I ricordi personali si nutrono dei grandi ricordi dell’umanità; i grandi ricordi si conservano solo attraverso la loro trasposizione in memorie personali.
Che gli uomini conservino la fede dipende anche dal fatto che essa le è diventata cara nel corso della vita, che per mezzo di essa l’umanità di Dio è apparsa attraverso l’umanità degli uomini. Ognuno di noi potrebbe raccontare la propria storia sulla falsariga di ciò che significano per la sua vita i ricordi del Natale, della Pasqua o di altre feste. Il compito prezioso dell’Avvento è quello di donarsi reciprocamente ricordi di bene, aprendo così le porte alla speranza.
SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE – OMELIA DI S. E. CARD. JOSEPH RATZINGER Cattedrale di München –
Lunedì, 25 dicembre 1978
Cari fratelli e sorelle!
Se consideriamo la liturgia del Natale della Chiesa, essa ci appare come un tessuto prezioso composto di molteplici fili: i fili dell’Antico Testamento, principalmente dei Salmi e dei profeti, quelli delle lettere di Paolo ed infine le diverse tonalità di tre evangelisti; Matteo, Luca e Giovanni, formano la vera bitonalità natalizia da cui è costituita la fede nel natale della Chiesa. Se non si tiene conto di ciò, si distrugge l’autentico mistero del Natale.
Luca, che fa risalire la sua tradizione alle cose sulle quali Maria ha riflettuto e che ha serbato in sé nella contemplazione del mistero di Dio, nel suo racconto ci fa conoscere la partecipazione umana e il fervore materno con cui la madre del Signore ha vissuto gli eventi della Notte Santa.
Giovanni non prende in considerazione i particolare umani del racconto per far giungere invece lo sguardo fino agli abissi dell’eternità, per farci riconoscere i veri ordini di grandezza dell’evento: la parola si è fatta carne e dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Per questo i Concili della Chiesa delle origini si sono sforzati di esprimere con le parole questa cosa grande, inattesa e sempre inconcepibile e indicibile: nel tempo il figlio eterno di Dio è diventato figlio di Maria. Colui che è generato dal Padre nell’eternità è diventato uomo nella storia grazie a Maria. Il vero figlio di Dio è figlio vero dell’uomo.
Oggi nella cristianità questi dogmi non contano più molto. Ci sembrano troppo grandi e troppo remoti per poter influenzare la nostra vita. E ignorarli o non prenderli troppo in considerazione, facendo del figlio di Dio più o meno il suo rappresentante, sembra essere quasi una specie di “trasgressione perdonabile” per i cristiani.
Si adduce il pretesto che tutti questi concetti sono talmente lontani da noi che non riusciremmo mai a tradurli a parole in modo convincente e in fondo neppure a comprenderli. Inoltre ci siamo fatti un’idea tale della tolleranza e del pluralismo, che credere che la verità si sia effettivamente manifestata sembra essere nientemeno che una violazione della tolleranza.
Però, se pensiamo in questo modo, cancelliamo la verità, facciamo dell’uomo un essere a cui è definitivamente precluso il vero e costringiamo noi stessi ed il mondo ad aderire ad un vuote relativismo.
Non riconosciamo quello che di salvifico c’è nel Natale, che esso cioè dà la luce, che si è manifestata e si è rivelata a noi la via, che è veramente via perché è la verità.
Se non riconosciamo che Dio si è fatto uomo non possiamo veramente festeggiare e custodire nel nostro cuore il Natale, con la sua gioia grande che si irradia oltre noi stessi. Se questo fatto viene ignorato, molte cose possono funzionare anche a lungo, ma in realtà la Chiesa comincia a spegnersi a partire dal suo cuore. E finirà per essere disprezzata e calpestata dagli uomini, proprio nel momento in cui crederà di essere diventata per essi accettabile.
La parola si è fatta carne. Accanto a questa verità presentataci da Giovanni, deve però esserci anche la verità di Maria, che ci è stata rivelata da Luca. Dio si è fatto carne. Questo non è soltanto un evento incommensurabilmente grande e lontano da noi, è qualcosa di molto umano e a noi molto vicino: Dio si è fatto bambino, un bambino che ha bisogno di una madre. È diventato un bambino, una creatura che entra nel mondo piangendo, la cui prima voce è uno strillo che chiede aiuto, il cui primo gesto è rappresentato dalle mani tese in cerca di sicurezza. Dio è diventato un bambino. D’altra parte sentiamo anche dire che queste cose non sono che sentimentalismo, che sarebbe meglio lasciare da parte. Ma il nuovo testamento ha altre idee al riguardo. Per la fede della Bibbia e della Chiesa è importante che Dio abbia voluto essere una simile creatura, dipendente dalla madre, dipendente dall’amore soccorrevole dell’uomo. Dio ha voluto essere una creatura che dipenda dagli uomini, per suscitare in noi l’amore che ci purifica e ci salva. Dio è diventato un bambino, e il bambino è una creatura che dipende dagli altri. Così nell’essere bambino c’è già il tema della ricerca d’asilo, un teme fondamentale del Natale. E quante variazione ha visto questo teme nella storia! Oggi ne sperimentiamo una molto angosciosa: il bambino bussa alle porte del nostro mondo. A ragione deploriamo di continuo il fatto che l’ambiente in cui viviamo sia diventato ostile ai bambini, che rifiuti al bambino lo spazio interiore ed esteriore in cui questi potrebbe realizzare ola propria esistenza nella libertà e nella gioia.
Il bambino bussa. Questa ricerca d’asilo va ancora più in profondità. Non esiste soltanto l’ambiente ostile ai bambini, prima di questo c’è anche il fatto che al bambino è chiusa la porta attraverso la quale potrebbe accedere a questo mondo, che si dice non abbia più posto per lui. Il bambino è visto come una specie di pericolo o come incidente da evitare. L’arte di chiudergli la porta in faccia è considerata un portato dell’Illuminismo e di una mentalità libera da pregiudizi. Spesso calpestare la vita che più di tutte è indifesa, quella che ancora non è nata, sembra non essere neppure più una trasgressione veniale, ma soltanto un parametro dell’emancipazione. Nel modo di pensare di questo nostro tempo – ma, se siamo sinceri, in segreto anche nel nostro modo di pensare – il bambino appare come colui che fa concorrenza alla nostra libertà, come colui che fa concorrenza al nostro futuro, che ci porta via il posto. Riempiamo lo spazio della nostra vita di oggetti e prodotti e non riusciamo mai ad averne abbastanza di cose che programmiamo e poi possiamo anche buttare via. Tutt’al più abbiamo posto per un animale che si adatti ai nostri capricci. Ma non abbiamo posto per una nuova libertà, per una nuova volontà che entra nella nostra vita e che non possiamo programmare e governare: per noi sarebbe troppo gravoso. Vogliamo soltanto ciò che si può programmare, il prodotto, le cose che siamo in grado di fare e poi possiamo anche buttare via.
Il bambino bussa. Se lo accogliessimo, dovremmo rivedere radicalmente il nostro rapporto con la vita, dovremmo essere disposti a non approfittare di essa soltanto a nostro vantaggio, dovremmo smettere di ritenerla soltanto un’opportunità a ricavare qualcosa da ciò che le circostanze ci offrono. Dovremmo invece viverla come un dono per gli altri. Dovremmo imparare a vedere nel bambino, nella nuova libertà di un altro essere umano che nasce alla vita, non la distruzione della nostra libertà ma un’occasione che le viene offerta, non il concorrente che ci toglie il futuro e lo spazio vitale ma la forza creativa che dà la propria impronta al futuro e lo porta in sé. Possiamo dire di avere a che fare con qualcosa di molto profondo. A seconda del modo in cui in ultima analisi intendiamo l’essere uomini: se dal punto di vista di un terribile egoismo che si sente perennemente minacciato, oppure da quello di una libertà fiduciosa che accoglie e sa accogliere un’altra libertà, perché sa che in fondo l’uomo è sorretto da Dio ed è pertanto chiamato alla comunione dell’amore e della libertà del vivere insieme.
Ricerca d’asilo. Nelle ultime settimane abbiamo visto impressionanti dei profughi vietnamiti e siamo anche stati testimoni di uno spaventoso venir meno del sentimento di umanità. Fino ad oggi prestare aiuto ai naufraghi era una delle qualità primarie della natura umana. Nel caso di questi fuggiaschi tale regola non è sembrata essere più valida. Grazie a Dio negli ultimi tempi le cose sono un po’ migliorate. Per fortuna anche gli stati europei, anche il nostro paese, hanno aperto un po’ le loro porte per accogliere questi reietti. E io a questo punto vorrei ringraziare di cuore tutti coloro che si sono impegnati e hanno lottato affinché nel nostro paese le porte si aprissero. Ma con questo il problema non è ancora risolto. Ora che la questione ci riguarda si presenteranno nuove difficoltà. E come i locandieri di Betlemme avevano certamente buoni motivi per dire a quella coppia di coniugi che non c’era più posto per loro, così anche noi troveremo di sicuro motivi plausibili per negarci all’amore. Pensiamo però ad una cosa: nella storia del dopoguerra resterà a gloria del popolo tedesco che un popolo devastato, privo di mezzi, distrutto, abbia accolto milioni di profughi, a volte certo brontolando, ma in fin dei conti, aprendo le loro porte. Avremmo avuto buoni motivi per tirarci indietro, per dire che ogni cosa era distrutta e che noi stessi non avevamo niente. Avessimo spartito il nostro poco, a ciascuno di noi sarebbe rimasto meno di niente. E tuttavia abbiamo detto di sì. E oggi sappiamo che coloro che vedevano nell’altro il rivale che ci avrebbe tolto lo spazio vitale non avevano ragione.
Sappiamo che il grande sviluppo economico e la saldezza morale della prima generazione tedesca del dopoguerra furono resi possibili in maniera determinante dalla forza morale, spirituale e umana di coloro che erano giunti nel nostro paese distrutto e che sono stati non dei rivali, ma delle energie per una nuova vita e un nuovo futuro. E conosciamo anche un esempio che è il contrario di questo. Nel Medio Oriente a i profughi della Palestina non è mai stata aperta una porta. Dove la persona è accolta e bene accetta, essa diventa una forza della creatività, della speranza e dell’amore, invece dove essa è respinta produce un’intossicazione della proporzioni devastanti. E vediamo come questo focolaio di veleni non soltanto sconvolga e minacci fino alle radici il Medio Oriente, ma metta in pericolo anche tutto il mondo, poiché il mondo è soltanto uno. Sarebbe una vera infamia se noi che abbiamo potuto accogliere delle persone in una nazione distrutta, bombardata e saccheggiata facendo loro posto, ora nel nostro paese pieno di ricchezza dovessimo dire: “No, non abbiamo più posto!”.
Ricerca d’asilo. Si riferisce ad essa anche la colletta natalizia dell’Adveniat promossa dalla Chiesa. I popoli dell’America Latina bussano e ci chiedono di far partecipare anche loro al godimento dei beni di questo mondo, che sono dati per tutti. “Venne nella sua proprietà e i suoi non lo accolsero. A quanti però lo accolsero diede loro il potere di diventare figli di Dio”. In quest’ora chiediamo a Dio che ci apra il cuore, rendiamoci capaci di sentire il suo bussare e di aprire le porte senza paura, accogliamolo, diventando così suoi figli, figli del bambino nel quale questa notte è sorta per il mondo la vera luce. Amen.