ARTICOLO | Nostro fratello Giuda. (Anch’io a Betania)

Non mi tolgo dalla testa il vangelo di ieri: l’unzione di Betania, con il folle spreco di quella matta di Maria, che versa più di tre etti di olio di nardo purissimo sui piedi di Gesù, e tutta la casa si riempie di profumo, nota l’evangelista, ma io penso che l’aria fosse irrespirabile, perché anche il profumo quando è troppo dà fastidio. Tutto è eccessivo, smodato in questa scena: la quantità di unguento è assurda, qualunque cosa uno voglia farci; ungere i piedi, anziché il capo, per poi asciugarli con i capelli lì, davanti a tutti, è un’esibizione così fuori luogo da implicare l’abbandono di ogni ritegno; e i soldi, i soldi che vanno in fumo sono proprio tanti. Non so nulla sul prezzo dell’olio di nardo, e leggo su Wikipedia – a cui lascio per intera la responsabilità del conto – una stima del costo di quella performance che, attualizzata alla valuta corrente, sfiora i diecimila euro. Ma perché? Fosse anche meno, si butta via così la roba?

Giuda, che è presente e di conti se ne intende, una valutazione la fa sul momento, e dice «trecento denari». So ben poco di storia dell’economia antica, e non sono al corrente del potere d’acquisto di un denario nella Palestina romana della prima metà del I secolo, ma credo che si tratti di una somma cospicua. In ogni caso, a lui, per consegnare Gesù, di lì a poco avrebbero dato appena un decimo (e gli sembrò un affare!). Trenta denari per tradire Gesù (e perdere se stesso), e lei ne spende trecento in pochi minuti per ungergli i piedi.

Ah Giuda, mon semblable, mon frère! Tu che pensi esattamente come me, e dici la cosa che avrei detto anch’io, se fossi stato lì. Né io né te, che alle cose ci pensiamo, facciamo tanti distinguo e tante obiezioni, arriviamo a capire ciò che quell’esaltata afferra perfettamente, d’intuito, al volo, come certe volte sono capaci di fare solo le donne: il valore economico di Gesù. Io l’ho anche scritto in un libro, ma un conto è scriverlo un altro è capirlo, e soprattutto viverlo. Per Gesù, tutto: questa è la regola dell’economia cristiana, l’unica regola, la regola aurea, il criterio che decide di ogni opzione commerciale e finanziaria. Tutto quello che sarebbe economicamente folle, se applicato a qualunque altro bene (persona o cosa che sia), diventa l’unica scelta razionale quando si tratta di Gesù Cristo. Ed è una regola universale, che non vale solo per i consumi voluttuari delle donne, ma anche per gli affari dei mercanti: è forse prudente liquidare l’intero patrimonio della ditta e investirlo esclusivamente in un solo asset (magari indebitandosi con le banche, per giunta), anche se fosse una perla di eccezionale bellezza? Chi mai può dire come andrà domani il mercato delle perle? E chi può escludere che domani Trump ci metta sopra un dazio del mille per cento? Ma se quella perla è il regno di Dio, allora sì che si deve fare: l’investimento è il più redditizio e il più sicuro che si possa immaginare. Bisogna comprare, costi quel che costi, e al diavolo le riserve di bilancio.

L’evangelista dice anche che tu, mon frère, hai parlato così perché eri ladro. Io faccio fatica a crederlo, se anche prendevi dei soldi dalla cassa sono convinto che fosse per usarli meglio secondo te, perché immagino che anche tu sappia sempre meglio degli altri (compreso il Maestro) che cosa è bene fare; però quella maldicenza te la meriti, perché non ti sei limitato a esternare il tuo (il nostro) sgomento per tutta quella ricchezza sperperata. Fin qui sarebbe stata zucconaggine. No, hai tirato in ballo i poveri, hai preteso di dare a quell’esaltata una lezione di morale. Ecco, qui mi pare che ci sia non solo la durezza di testa (il non capire che ci affligge), ma proprio la menzogna, quindi il peccato, quello brutto. «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?»: la tua frase resta per sempre come lo stigma con cui si autocondannano tutti i cristiani moralisti, i “virtuosi” di qualunque tendenza ed etichetta, di destra e di sinistra (oggi per lo più di sinistra!). I pauperisti, per esempio, quelli che hanno sempre in bocca i poveri, e oppongono i poveri a Gesù.

Gesù li sistema, ti sistema e ci sistema tutti con una frase lapidaria: «non sempre avete me» (Gv 12, 8).

tratto dal blog di Leonardo Lugaresi