Un altro processo Dreyfus alla Chiesa.

Un altro processo Dreyfus alla Chiesa. Anonimato, sondaggi di opinione e indagini online. Il rapporto francese è tutto qui, di Giuliano Ferrara

Riprendiamo parte di un articolo di Giuliano Ferrara pubblicato su Il Foglio del 7/10/2021, con una breve nota de Gli scritti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

N.B. de Gli scritti Si può discutere, a partire dal titolo,  su alcuni punti dell’articolo di Giuliano Ferrara che qui ripubblichiamo parzialmente. Ma non si può non consentire quando egli sottolinea come quei dati non siano frutto di verifiche approfondite: già il numero di 216.000 casi richiederebbe una mole processuale di decenni ed, infatti, egli mostra come tale sommatoria sia un’ipotesi percentuale costruita in astratto con interviste in gran parte telefoniche e anonime. Ferrara mostra che tutta la logica processuale è stata in questo caso bypassata poiché non si è dato spazio ad alcun contraddittorio e, difatti, non ci sono accusati con volti determinati. Con questo non si vuole negare la grave piaga della pedofilia, presente nella Chiesa come nel mondo laico, ma insistere sul fatto che non si possono trattare tali questioni in maniera approssimativa con analisi a campione protratte per non più di qualche mese.

[…]

Nel febbraio del 2019, su richiesta dei vescovi francesi, una commissione indipendente presieduta da Jean-Marc Sauvé, un cattolico, si è costituita per indagare sugli abusi sessuali legati alla Chiesa di Francia dal 1950 al 2020, settant’anni. Ne hanno fatto parte, su scelta del presidente, un numero notevole di psichiatri, sociologi, gente di diritto, storici, teologi, canonisti, demografi, statistici e altri esperti, tutti a titolo gratuito e tutti laici. Il finanziamento dei lavori, ai quali hanno contribuito reti di collaboratori, l’Istituto di sanità e il maggiore istituto di sondaggi e ricerche di mercato francese, l’Ifop, è stato garantito per complessivi 3 milioni e seicentomila euro dalla chiesa.

Non ho speciali motivi per ritenere adulterato il lavoro della commissione indipendente, e per non rispettarlo. Ho specialissimi motivi per domandarmi su quali basi abbiano raggiunto, i commissari, le loro conclusioni, che ovviamente sono corredate di misure di governance, come si dice oggi, capaci di mutare la natura sistemica dell’istituzione alla base del crimine di massa perpetrato, asseritamente perpetrato. Ho anche un pregiudizio avverso alla giustizia delle vittime, sia in riguardo al #MeToo sia in riguardo al #MeToo della Chiesa cattolica. E dubbi nati tra l’altro da casi celebri, come quello del numero due o tre vaticano, il cardinale George Pell, trascinato in giudizio e in prigione da comitati delle vittime e sistema di giustizia dello stato di Victoria, in Australia, fino alla sua completa riabilitazione: non aveva abusato di due anonimi coristi, nella sagrestia della cattedrale di Melbourne, in cinque minuti e subito dopo la messa inaugurale del suo ministero arcivescovile. Altri dubbi li ho ripetutamente espressi qui, per esempio recensendo quella mignottata hollywoodiana che fu “Spotlight”, efficacissimo e menzognero kolossal antipreti sul caso di Boston; e in mille altre occasioni definite dalla crociata forsennata e terzoconciliarista che cinge d’assedio Chiesa e Vaticano, per espugnare l’una e l’altro in regime di dottrina unica della secolarizzazione universale. Exsurge Domine, un cinghiale squassa la tua vigna: è la mia modesta conclusione. Ma nella chiesa tutto tace e acconsente.

Munito, non armato, di questi pregiudizi, mi sono letto la sintesi ufficiale del rapporto Sauvé, oltre a quanto è stato pubblicato sulla stampa internazionale, comprese le geremiadi e le autoaccuse penose e pelose dei grandi prelati di Francia e non solo.

È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. E come rendiconto dei primi esiti dell’esame di un lavoro indipendente, offro al lettore del Foglio la traduzione letterale dei princìpi in base ai quali si è stabilito che, a parte la famiglia, incubatrice sei o sette volte tanto di atti abusivi sui rampolli, la chiesa guida la classifica abusionista con un certo vantaggio quantitativo, per non dire di quello qualitativo, sulle scuole, le colonie di vacanza, le associazioni sportive e molti altri ambiti sospetti della società.

“La Commissione ha deciso di mettere le vittime al centro dei suoi lavori. I suoi membri hanno ascoltato numerose persone che hanno subìto delle aggressioni, non in qualità di esperti, ma come esseri umani che accettano di esporsi e di confrontarsi personalmente e collettivamente a questa triste realtà. Con questa immersione, hanno inteso assumere la parte loro di comune umanità, in questo caso ferita e dolorante, che tutti condividiamo. Non è in effetti possibile comprendere e conoscere il reale com’è, e tirare le conseguenze, se non si sia capaci di lasciarsi toccare direttamente da quanto le vittime hanno vissuto: la sofferenza, l’isolamento e, spesso, la vergogna e il senso di colpa. Questo vissuto è stata la matrice dell’attività della Commissione.

Nei mesi una convinzione si è imposta: le vittime detengono un sapere unico sulle violenze sessuali e solo loro sono in grado di farci accedere all’oggetto perché possa essere restituito. Di conseguenza è la loro parola che serve da filo conduttore al rapporto della commissione. È grazie a loro che il rapporto ha potuto essere concepito e scritto. È grazie a loro, e non solamente grazie a chi ha fornito a noi il mandato, che il lavoro è stato fatto. È su questo scambio singolare e invisibile che il rapporto è stato costruito, senza che tutto ciò sia stato programmato all’origine”. (I corsivi sono miei).

Quindi: vittime al centro, niente contraddittorio, la parola liberata è regina e per un settantennio, il dialogo è invisibile, come dicono, e su di esso si fondano le conclusioni di condanna di un clero che non fa parte della Commissione e ne è l’oggetto dannato. Continuiamo.

“Senza elevarsi al di sopra del proprio mandato, la commissione propone misure sulle questioni di teologia, d’ecclesiologia e di morale sessuale perché, in questi campi, ritiene che certi snaturamenti e interpretazioni hanno favorito abusi e derive. Fa anche delle proposte sulla governance della chiesa, la formazione dei preti, la prevenzione degli abusi e la presa in carico degli abusatori”.

Più in là la commissione registra delle “difficoltà a farsi conoscere delle persone vittime o testimoni degli atti perpetrati, come anche dell’incitarli a testimoniare, anche sotto il sigillo dell’anonimato”.

“Lanciato il 3 giugno del 2019 e chiuso il 31 ottobre del 2020, l’appello a testimoniare ha permesso di stabilire 6471 contatti: 3652 colloqui telefonici, 2459 scambi epistolari e 360 trattati dall’associazione France Victimes”; “un questionario anonimo amministrato dall’Ifop, destinato a nutrire le analisi dell’Inserm (Istituto di sanità)”; “quanto all’inchiesta sulla popolazione generale, è stata condotta online tra il 25 novembre 2020 e il 28 gennaio 2021, preso un campione di 28010 persone con un’età superiore ai diciott’anni, anche questo amministrato dall’Ifop”.

Anonimato, indagini online, ricerche di mercato e sondaggi di opinione, l’accesso agli archivi ecclesiastici è menzionato in seconda linea e non dà gran frutti. Il risultato un po’ Twitter un po’ Facebook è quello in testa al presente articolo. 216 mila abusati in 70 anni da circa tremila preti e suore. Bum. Una bomba. Un’esplosione emozionale e sentimentale. Ricerche di mercato, lavoro specialistico di impostazione freudiana (il senso di colpa), compassione per le vittime che sono sorgente e destinatario di questa forma di indagine per la giustizia: nessuna definizione storica o giuridica del fenomeno, nessuna scansione nel tempo, nessuna categorizzazione che non sia il fil rouge delle testimonianze, no statuizione degli eventuali profili di reato penale, condanna preventiva della chiesa come sistema e del clero in regime di anonimato testimoniale. Una replica del processo Dreyfus al cardinale Pell? Più o meno. Ma mi riservo di finire la lettura del centone d’accusa. Per ora quanto ho visto mi basta per confermarmi integralmente nei miei pregiudizi di non cattolico confessante contro la campagna per la messa fuori legge del clero pedocriminale.

Un altro processo Dreyfus alla Chiesa da “Centro Culturale Gli Scritti”